Dopo lo spettacolo,
quando il teatro è vuoto,
nella quiete che segue il battimani,
alla luce discreta di una lampada,
amo gironzolare giù in platea,
salire in galleria
o starmene in palcoscenico a pensare.
Allora l'animo mio è lieto e sgomento:
quando tutto è finito
e gli attori, dopo la festa, vanno via.
E' allora, mentre le dita sfiorano
il morbido velluto del sipario,
che comprendo cos'è quest'amore,
quale magìa mi tiene avvinto
a questo spazio chiuso e illimitato.
Teatro, tempio di gesti e di parole,
dove la mente lievita
e accelerano i battiti del cuore.
Teatro, fabbrica d' emozioni,
specchio di vanità,
castello di cartapesta, inconsistente,
ma vero come il sudore.
Teatro, caduco a volte come i sogni infranti,
ma struggente come le lacrime e i sospiri.
Teatro, tribunale severo,
caldo come le mani giunteo freddo come un rifiuto,
oppure tiepido come un sorriso di circostanza.
Teatro, altare all'arte,
piazza d'umanità, rimedio alla noia,
dov'è trascorsa viva la mia vita.
E' allora, in quei momenti,
quando rimango solo in palcoscenico,
che accanto a me, mortale,
appaiono gli immortali, gli eterni: i personaggi.
Odo le loro voci e sono tante, tutte a me familiari.
Così, a quella folla amica, si placa il mio timore
perché so che dopo il Teatro,
nell'inquieto silenzio che precede la notte,
nel breve cammino che mi porta alla meta,
ci saranno loro, le creature immutabili
a farmi compagnia.
Nigel Davemport